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il bacio di lesbia 23

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Sempre con voce pacata Augusto leggeva:

— «O Dea, sia che tu ami essere chiamata Lucina, sia Genitale, sia Ilithia, di questo noi ti preghiamo: sciogli il grembo alle madri, sii tu levatrice ai parti ben maturati e per giuste nozze concetti. Deh, veglia, o cara Dea, su le madri romane. Aumenta la prole di Roma». Bravo, Orazio! Parole disposte bene che resteranno a lungo nella memoria degli uomini. Darò ordine che siano cantati in coro questi vostri versi, da giovinetti puri e da fanciulle bennate.

— Grazie, Augusto, — rispose Orazio. — Le preghiere degli innocenti arrivano facilmente fino al trono di Giove.

— Volete dire che le mie non arrivano?

— O Augusto, prole divina! — esclamò Orazio.

— Lasciate, lasciate queste espressioni untuose: qui non siamo in Senato.

Era bastato uno sguardo di Augusto a turbare Orazio. L’occhio di Augusto era insostenibile. Il volto era solare, ma guai se si veniva cambiando! Il segreto di Augusto stava in questo: che il piú lieve increspare del sorriso dava lietezza ai cuori: sorrideva il Senato, sorrideva Italia; e lo scomparire del sorriso metteva sgomento.

Orazio era uomo senza paura perché «in-

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