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88 | alfredo panzini |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Panzini - Il bacio di Lesbia.djvu{{padleft:90|3|0]] ti amerò in eterno sino alla morte, andrò solo in India e nella arsa Libia, a farmi sbranare dai cerulei leoni.
E fece gran giuramento.
Mentre lui parlava, Acmene piegava lieve la testa indietro, con le labbra porpuree, baciate e ribaciate, per contemplare gli occhi ebbri del giovinetto.
Si, cosi, ella disse, o Settimillo, o vita mia, siamo servi senza fine al signor nostro Amore cosi come è vero che ora, ben più forte che mai, amore penetra entro le mie tenere carni.
Allora il Dio d’amore approvò.
Con quel felice auspicio, Acmene e Settimillo mossero per loro destino. Amano e si amano di scambievole amore. Quel poverino di Settimillo, cosi ferito da Amore, antepone di possedere Acmene che non tutta la Siria e tutte le isole di Britannia. E Acmene è fedele a lui solo, a lui solo, a Settimillo, fa a lui gioia e libidini.
«Chi vide mai creature più liete? Per chi il voluttuoso Amore sorse sotto migliori auspicii?».
Cosi finiva la canzone di Settimillo.