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Oh, i flessuosi corpi, oh, i leggiadri inchini delle teste chiomate! Ma a chi, in quel circolo, quelle giovinette si inchinavano? A chi, come preso e sorpreso, tutti facevano onore? A lui, al suo amico, al bel signore, che gli aveva regalato i confetti e la cocòmera rossa. Parevano tutti come festeggiarlo. E c’era fra quei signori il conte Biancolini, e c’era quel melenso del suo figliuolo, il quale pur gli era debitore, giacchè i compiti di greco (sia pur con qualche compenso), glieli passava lui.

Come una siccità era nella gola di Aquilino e un martellare nel cuore.

Evvia, che una scalea non è insuperabile barriera per chi ha avuto un richiamo dal sole e dalla luna! E se quei signori sono nobili, tu che sei in rapporti con i lucumoni, con gli arconti, coi cesari antichi, sei pur nobile! Perchè ardire e franchezza non hai, come dice Dante?

— Dopo tutto — pensò — vado a fare un salutino a quel signore, mio amico; e a dire ciao! a un compagno di scuola.

E varcò quella frontiera.

E poi? Che cosa era successo poi? Quanto tempo era passato lassù?

Egli si ritrovò ancora giù fra il popolo basso.

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