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teletta, sulla cui piana di cristallo posavano
fiale, spazzolini, profumi. Fece scorrere acqua, infuse essenze, in un bicchiere e, Suvvia, così! i denti; forte! E poi le mani! Ancora, ancora! E poi con certi ferruzzi, e poi con certi spazzolini; insomma lavorò tutto a nuovo Aquilino.
— Ci pigli gusto, eh? Aspetta adesso che ti darò l’acqua benedetta. — E con uno spruzzatoio lo avvolse di un profumo assai aristocratico che dava al giovinetto una leggerezza voluttuosa. E il conte canticchiava: — asperge me Yssòpo, et mundabor, ed ora va a casa e vedremo poi: le vin est tiré, il faut le boire.
Era mezzodì; mamà era sul limitare della porta di casa, e diceva:
— Dove sei stato, che la minestra è già cotta? Ma cos’è il puzzo che hai d’intorno?...
Ed Aquilino gli raccontò la sua avventura in quel dì, e mostrò, tutto soddisfatto, i denti, e mostrò le mani con le unghie lavorate in punta, senza più le pipite.
Mamà però non rimase molto soddisfatta:
— Caro mio, bisognerebbe non aver da far niente come le signore per badare alle un
/.,/ Madonna dì Marna.