Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 103 — |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Panzini - La cagna nera.djvu{{padleft:107|3|0]]
Mi stava poi alla mente quella poverina di Patirai! (già la chiamavo così anch’io, perchè vedevo che il nome le si conveniva proprio) mi stava alla mente come dicesse: «Chi ti vuol bene più di me in questo paese? Nessuno; e tu hai vergogna di riconoscerlo. Vedi che sei un debole?» No, non era tanto il torpore come questo pensiero che mi allontanava il sonno.
Quando ad una certa luce più calda e meno viva capii che il giorno stava per finire, mi vinse come un tedio e non so quale sgomento delle tenebre che sarebbero entrate fra poco. Allora mi feci forza; mi levai dal letto ed uscii.
Presi una delle solite vie solitarie e camminava avanti.
Il tramonto luceva vermiglio e grande: la via bianca di polvere si apriva fra due siepi di alto bianco spino fiorito.
Ad un tratto, allo svoltare della via, in fondo, mi si offerse qualche cosa di brulicante e di nero; poi una vampa di fuoco, un fumo nell’aria e un guaito; non forte ma fioco, eppure esso risonò dentro di me, sui miei nervi come uno strappo selvaggio su le corde di un’arpa addormentata.