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Vedrò di ricordare solamente i fatti; i diversi passaggi del pensiero mi sfuggono o non mi sento la forza di analizzarli. Dicevo, dunque, che ero tornato a C*** ne la solita stanza, solita scuola, solita osteria, solite passeggiate. La mente seguitava le sue fantasticherie; ma la vita materiale aveva la regolarità di un orario di collegio.

Così passò l’autunno e parte dell’inverno.

Una sera all’osteria il cancelliere della pretura volle pagare da bere perchè era il suo onomastico. Per ragioni di cortesia, rimasi io pure e bevvi.

Dopo essi avevano giocato a scopa sino alla mezzanotte; poi si era fatto cuocere un gran piatto di quelli che chiamano maccheroni di zita e si era bevuto ancora...; si era bevuto molto quella sera. Come avvenne poi che i miei compagni se ne fossero andati e che io rimanessi solo, non ricordo.

L’oste (mi par di vederlo) rassettava i fornelli, il garzone chiudeva le imposte. Allora io sentii qualche cosa di molle che mi fuggì tra le gambe e un momento dopo una cagnolina nera balzò su la sedia di contro, dritta su le zampine

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