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118 antidotum impietatis

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Panzini - Lepida et tristia.djvu{{padleft:196|3|0]]volo ed era il più crudele uomo e tiranno che ci fosse per tutti questi monti, fin dove si vede.

Ora avvenne che una volta lui stava sotto quest’arco, come stiamo adesso noi, e guardava giù in fondo nella piazza del borgo e vedeva la gente che si affollava attorno ad un uomo che era condotto da un cane.

Il cane conduceva l’uomo da una porta ad un’altra, e tutti facevano la limosina; poi infine prese la salita e montò verso il castello; ma nè meno i ragazzi gli venivano dietro, tanta era la paura anche dell’ombra di messer Anastagio.

Ma il cane prende la salita e l’uomo dietro.

Il cane era un barbone nero e l’uomo aveva una barba nera a ventaglio così grande che gli copriva le spalle e tutto il petto. Aveva sembiante e vesti di pellegrino, e le gambe che moveva a passi grandi e lenti con l’aiuto d’un bastone, erano ravvolte di cenci e di corde.

Come furono davanti messer Anastagio, il barbone si fermò e allora quel pellegrino levò di sotto il mantello un treppiede e con un ferro vi batteva in cadenza, e con una voce smemorata che pareva un’eco di cose lontane, ripeteva una cantilena:

  Cristiani, buona gente,
fate la carità a un penitente.
Veduta ho Francia e Spagna, e terra di Soria,
coll’aiuto dei Santi, di Gesù e di Maria.

Interruppe allora forte corrucciato messer Anastagio:

— Perchè tu mi guardi così con quegli occhi?

Gli occhi del pellegrino erano in verità grandi ed immobili su di messer Anastagio.

— Io non vi guardo, domine — rispose quegli, interrompendo a gran fatica la cantilena.

— Tu invece mi guardi! — ruggì messer Anastagio.

E veramente quegli guardava.

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