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i cinque pulcini 173

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Quando l’uomo fu disopra, chiamò la sua compagnia presso la finestra dove ci si vedeva un po’ meglio, e disse loro: «Ragazzi, adesso io vado fuori. Starò via un’ora a far molto. Voi rimanete buoni qui.

— Si, papà!

— Oh, e ricordatevi che siamo in un’osteria, che non è mica la casa nostra.

— No, papà!

.... c’è della gente buona, e della gente cattiva; non fate rumore, non attaccate lite fra voi due, che siete più grandi....

— No, papà!

.... fate divertire il piccino e non aprite a nessuno.

— E domani si va in America? vero, papà? — disse il terzogenito, quello infagottato, con una voce dolce di piccolo oboe familiare, la quale stonava in quella stanza gelida e grigia di osteria.

Fatte queste raccomandazioni, si raccolse nel ferraiuolo e nessuno dei figliuoli piagnucolò: «Babbo, voglio venir con te!» Ma tutti stettero quieti, e quegli, uscito e chiuso l’uscio e stato ad origliare alquanto, sentì che stavano quieti così com’egli avea loro comandato.

Allora scese e, pregato l’oste che porgesse orecchio ogni tanto se li sentiva chiamare o piangere, uscì sulla via.

La gente correva sotto un nevischio rado entro una bruma color di cenere, rotta qua e là da certe fiamme rosse. Accendevano i fanali e non erano ancora le quattro. Ma di decembre annotta assai presto. In una piazza del

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