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“E stateve allegramente.„
Quante volte, nei miei spontanei contatti quotidiani col più piccolo popolo napoletano, contatti egualmente cari al mio cuore semplice, come alla mia balzante fantasia di scrittrice, io ho sognato un altro dei tanti romanzi napoletani che la vita, ahimè, troppo breve, non mi darà più tempo di scrivere: quello, cioè, dei così passionali e così profondi affetti materni e filiali, quello, cioè, del vincolo incomparabile fra una popolana napoletana e il suo figliuolo, maternità ardente e tenera che a nessun’altra rassomiglia, ricambiata da un amor filiale, che commuove per la sua intensità e per la sua fedeltà. Come chiama, mai, una madre del popolo nostro, il suo figliolo? «Figlio mio bello....» E così avrei voluto in titolare il mio romanzo, se mai lo avessi scritto. Sia bello, sia brutto, sia giovine, sia ma-