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Ingannar più, chi più si fida, e meno
Amar chi più n’è degno, odiar la fede
Più della morte assai, queste son l’arti
Che fan sì crudo, e sì perverso Amore.
Dunque d’ogni suo fallo è tua la colpa.
Anzi pur ella è sol di chi ti crede.
Dunque la colpa è mia, che ti credei
Malvagia, e perfidissima Corisca,
Qui per mio danno sol cred’io venuta,
Da le contrade scelerate d’Argo,
Ove lussuria fa l’ultima prova.
Ma sì ben figni, e sì sagace, e scorta
Sè nel celar altrui l’opre, e i pensieri
Che trà le più pudiche hoggi te’n vai
Del nome indegno d’honestate altera:
O quanti affanni ho sostenuti, ò quante
Per questa cruda indignità sofferte;
Ben me ne pento, anzi vergogno. impara
Da le mie pene ò mal’accorto amante,
Non far idolo un volto, ed à me credi
Donna adorata un nume è de l’inferno.
Di se tutto presume, e del suo volto,
Sovra te, che l’inchini, è quasi Dea
Come cosa mortal ti sdegna e schiva.
Che d’esser tal per suo valor sì vanta,
Qual tu per tua viltà la fingi ed orni,
Che tanta servitù? che tanti preghi,
Tanti pianti e sospiri? Usin quest’armi
Le femmine, e i fanciulli, e i nostri petti