< Pagina:Pastor fido.djvu
Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta.

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Pastor fido.djvu{{padleft:54|3|0]]

  Ingannar più, chi più si fida, e meno
  Amar chi più n’è degno, odiar la fede
  Più della morte assai, queste son l’arti
  Che fan sì crudo, e sì perverso Amore.
  Dunque d’ogni suo fallo è tua la colpa.
  Anzi pur ella è sol di chi ti crede.
  Dunque la colpa è mia, che ti credei
  Malvagia, e perfidissima Corisca,
  Qui per mio danno sol cred’io venuta,
  Da le contrade scelerate d’Argo,
  Ove lussuria fa l’ultima prova.
  Ma sì ben figni, e sì sagace, e scorta
  Sè nel celar altrui l’opre, e i pensieri
  Che trà le più pudiche hoggi te’n vai
  Del nome indegno d’honestate altera:
  O quanti affanni ho sostenuti, ò quante
  Per questa cruda indignità sofferte;
  Ben me ne pento, anzi vergogno. impara
  Da le mie pene ò mal’accorto amante,
  Non far idolo un volto, ed à me credi
  Donna adorata un nume è de l’inferno.
  Di se tutto presume, e del suo volto,
  Sovra te, che l’inchini, è quasi Dea
  Come cosa mortal ti sdegna e schiva.
  Che d’esser tal per suo valor sì vanta,
  Qual tu per tua viltà la fingi ed orni,
  Che tanta servitù? che tanti preghi,
  Tanti pianti e sospiri? Usin quest’armi
  Le femmine, e i fanciulli, e i nostri petti

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.