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Del resto, come mi sono comportato io con quelle che mi pesavano, mi seccavano — che non volevo? Nell’identico modo.

Il gesto — il gesto — non dev’essere una vendetta. Dev’essere una calma e stanca rinuncia, una chiusa di conti, un fatto privato e ritmico. L’ultima battuta.

12 maggio.

Scritto un altro soggetto: Amore amaro. E con questo? Avrà lo stesso destino, e se anche ne avesse uno migliore, servirà ad altro che a staccarla di piú?

13 maggio.

In fondo, in fondo, in fondo, non ho colto al volo questa straordinaria avventura, questa cosa insperata e fascinosa, per ributtarmi al mio vecchio pensiero, alla mia antica tentazione — per avere un pretesto di ripensarci...? Amore e morte — questo è un archetipo ancestrale.

16 maggio.

Adesso il dolore invade anche il mattino.

27 maggio.

La beatitudine del ’48-’49 è tutta scontata. Dietro quella soddisfazione olimpica c’era questo — l’impotenza e il rifiuto a impegnarmi. Adesso, a modo mio, sono entrato nel gorgo: contemplo la mia impotenza, me la sento nelle ossa, e mi sono impegnato nella responsabilità politica, che mi schiaccia. La risposta è una sola: suicidio.

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