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XIII.
. . . . . . . . . .
Amo il buio e il fragor della fucina,
E mi piace l’artier che tempra il ferro;
La polverosa sua faccia ferina,
Gli occhi di foco e le braccia di cerro.
È il sacerdote del problema oscuro,
È il nuovo ingegno del redento Giobbe:
Forse è per lui che al secolo maturo
L’uom brandirà la scala di Giacobbe.
Giacchè, pensando alla cruenta via
Per cui fe’ vela l’angelo Pensiero,
Mi persuade la tristezza mia
Che non la tema il demone Mistero.
E più d’Icaro assai, passero greco,
Più del vate che al fulmine attentava,
Le speranze mi avviva il sacro speco
Ove il deforme Ciclope vegliava.
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