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262 parte ii - capitolo vi

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Piccolo Mondo Antico (Fogazzaro).djvu{{padleft:266|3|0]]passò liscia, Ester non rispose e tutta la compagnia entrò, mista a una frotta di donne, nelle tenebre della chiesa.

Il professore si fermò sulla porta, incerto fra l’amore e la filosofia. La filosofia lo tirava indietro con un filo e l’amore lo tirava avanti con una fune; egli entrò e si pose accanto ad Ester. Franco ebbe per un momento la crudele idea di trascinarlo avanti, fra i banchi degli uomini; ma poi mutò pensiero e si pose anche lui presso sua moglie. Giovò poco perchè Ester, fingendo voler dire qualche cosa a Luisa, le si avvicinò e spinse maliziosamente la vecchia Cia verso il professore. Questi, ancora palpitante per quella sua disperata audacia del paradiso sotto l’ombrello, alla mossa di Ester si turbò, pensò di averla offesa, si diede dell’asino e dell’asino e dell’asino.

La chiesa era già tutta piena e anche le signore dovettero star in piedi dietro la spalliera del primo banco. Ester s’incaricò di Maria, la pose a sedere sulla spalliera mentre il sagrestano accendeva le candele dell’altar maggiore. La Cia tormentava il professore, credendolo un sant’uomo, con mille domande sulle differenze tra il rito romano e il rito ambrosiano, e Maria teneva occupata Ester con altre domande ancora più straordinarie:

«Per chi accendono quei lumi?»

«Per il Signore.»

«Va a letto adesso, il Signore!»

«No, taci.»

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