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494 parte iii - capitolo i

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Cinque o sei minuti passarono prima che il tavolino si rimettesse in moto. Alla domanda di Luisa — debbo andare? — battè prima tredici colpi poi quattordici. La risposta era «no.»

Il professore impallidì e Luisa lo interrogò con lo sguardo. Egli rimase lungamente muto, poi rispose sospirando:

«Potrebbe non essere Maria. Potrebb’essere uno spirito di menzogna.

«E come si può sapere?» fece Luisa ansiosamente.

«Impossibile. Non si può sapere.

«Ma e le altre comunicazioni, dunque? Non vi è certezza mai?

«Mai.»

Ella tacque, atterrita. Poi sussurrò: «doveva essere così. Doveva mancarmi anche questo.»

E posò la fronte sul tavolino. Il lume della candela batteva sui capelli, sulle braccia, sulle mani di lei. Ella non si moveva, nulla si moveva nella camera, tranne la fiammella oscillante della candela. Un’altra fiammella, un ultimo lume di speranza e di conforto stava morendo nella povera testa caduta sotto il colpo d’un dubbio amaro e invincibile. Che poteva fare, che poteva dire il Gilardoni? Egli vedeva prossimo a compiersi, non per opera sua, il desiderio di Ester. Tre o quattro minuti dopo si udirono passi al piano inferiore e la voce di Ester. Luisa, lentamente, si alzò.

«Andiamo» diss’ella.


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