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92 | capitolo iv |
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Rimasto solo, Franco spense il lume e si distese sulla poltrona con la buona intenzione di dormire, cercando il sonno in qualche pensiero indifferente, se gli fosse possibile di fermarvisi. Non erano passati cinque minuti quando fu picchiato all’uscio e subito entrò precipitosamente, senza lume, il professore dicendo: «insomma sono qui!». «Cosa c’è?», esclamò Franco. «Mi rincresce che ho spento.» Si sentì in pari tempo le braccia del buon Beniamino intorno al collo, la sua barba, la canfora e la voce sul viso.
«Caro caro caro caro don Franco, io ho un peso enorme sul cuore, non volevo parlarle adesso, volevo lasciarla quieto ma non posso, non posso, poss no, poss no, poss no!»
«Ma parli, si quieti, si quieti!», disse Franco sciogliendosi dolcemente da quell’abbraccio.
Il professore lo lasciò e si portò le mani alle tempie gemendo: «oh che animale, che animale, che animale! Potevo ben lasciarla tranquillo, potevo ben aspettare domani! o posdomani! Ma oramai è fatta, è fatta».
Afferrò le mani di Franco. «Creda, avevo cominciato a spogliarmi quando mi ha preso come una vertigine e lì, andiamo, metti su da capo la vesta e via corri qua come un matto, senza lume! Nella furia ho persin rovesciato la scodella dell’acqua sedativa!»
«Accendiamo il lume?», chiese Franco.
«No no no! Meglio parlare al buio, meglio par-