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290 | capitolo quinto. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Piccolo Mondo Moderno (Fogazzaro).djvu{{padleft:312|3|0]]Avida dei brevi, preziosi momenti di solitudine, non si sentiva più nella memoria quel che aveva detto Destemps della Maironi e l’altro racconto della pazza guarita, se non come ombre languide nello sfondo di un quadro che son vedute ma non richiamano l’occhio a sè. Il pensiero della lettera, il pensiero dell’incontro l’avevano ripresa con violenza e smarrì, affissandosi nel proprio interno, il senso delle cose esteriori e del tempo. L’improvviso rombo delle grandi campane del Santuario non la scosse ma le entrò nel cuore, vi fece vibrare un ricordo della lettera. Sospirò, tolse quella lettera e ne riprese la lettura.
“Nessuno mi aspettava, naturalmente. La casa era chiusa, dovetti mandare ad Albogasio, non c’eran candele e neppure acqua, ci volle del tempo non poco a prepararmi un caffè, una stanza per la notte e quando, finalmente, mi trovai solo col custode, verso le dieci, nella casa silenziosa, l’emozione del viaggio mi era passata, un po’ per la fatica, un po’ per la seccatura, interamente: anzi mi meravigliai, quasi mi dolsi, di trovarmi così freddo. Uscii sul terrazzino che fu costruito, secondo mi raccontò una vecchia del paese, certa Leu, da mio padre, e dove il mio povero zio Ribera, ‘el poer scior ingegner’ come qui lo chiamano ancora, morto prima ch’io venissi al mondo, soleva