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V


L’ironia comica nella poesia cavalleresca


Quando il Brunetière, su la Revue des Deux Mondes prima,[1] poi nel volume Études critiques sur l’histoire de la litterature française,[2] si scagliò contro l’erudizione contemporanea e la letteratura francese nel medio evo, a difender questa e quella sorsero, fieramente indignati, molti critici, segnatamente romanisti, e non soltanto della Francia.

Certo, la difesa dell’erudizione contemporanea sarebbe riuscita molto più efficace, se i difensori non si fossero da un canto lasciati andare per ripicco a dire ogni sorta di villanie contro la critica estetica, e non si fossero, dall’altro, provati a difendere con troppo zelo anche le bellezze della poesia medievale, epica e cavalleresca, della Francia.

Ricordo, fra le altre, la difesa di Cr. Nyrop, nella sua Storia dell’Epopea francese nel M. E.,[3] per la ingenua speciosità degli argomenti. «Si è fatto un rimprovero ai poemi dicendo che sono rozzi e ruvidi e che i personaggi che vi agiscono non possono pretendere al nome di eroe, poichè tutto il loro sforzo non


  1. 1879, III, p, 620 e segg.
  2. Paris, 1880.
  3. Trad. del Gorra (Torino, Loescher, 1888). Vedi Lib. III cap. III (Valore dell’Epopea).
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