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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Pisacane - Saggio sulla rivoluzione.djvu{{padleft:45|3|0]]forza; i Magno-Greci e gli Etruschi per vecchiezza perirono nella lotta. Roma fu il centro ove concorsero le varie istituzioni e i costumi di tanti popoli italiani; Roma fu il centro d’onde queste istituzioni si sparsero ugualmente in tutta l’Italia.

Gl’italiani retti dal saggio e guerriero patriziato romano si trovarono in contatto della vecchia civiltà d’Oriente o della barbarie d’Occidente; conquistarono gli uni e gli altri e sparsero la civiltà dei primi egualmente sul loro vasto impero. Ma le tante ricchezze acquistate colla guerra cominciarono a far sorgere l’opulenza e la miseria; il governo passò nelle mani dei più ricchi; gli ordini sociali avevano compito il loro corso, i mali crescevano, quindi o dovevano con una rivoluzione rigenerarsi o peggiorare e dissolversi come era avvenuto ai Magno-Greci.

Le fibre non erano inflacidite, le passioni ancora esistevano; quella società presentò sintomi di rigenerazione; i Gracchi, i Saturnini, i Drusi furono i riformatori dell’epoca; essi mirarono a limitare i dritti di proprietà, ma i loro ragionamenti, i loro sforzi non furono compresi dal popolo italiano; questo seguiva i suggerimenti del proprio istinto e credeva cagione dei mali il potere usurpato dai romani. Tutti vollero essere romani, e lo furono. Ma i mali, in luogo di diminuire crebbero; le loro forze, le loro fibre si logorarono nella lotta. Noi vediamo la stessa cagione — opulenza e miseria — produrre i medesimi effetti, i medesimi vizii, dai versi di Lucano, espressi con impareggiabile maestà ed evidenza:

In poder vasto il campicel si estese
Ed estraneo arator fè lunghi i solchi
Dove brevi li fea l’irto Camillo.
E affondavan le mani i Curi antichi
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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