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256 | juvenilia |
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LIBRO I.
VI) A imitazione delle rime dei secoli xiii e xiv.
VII) Come il precedente. Il Primo amante del v. 12 è detto platonicamente, come già dal Tasso nella canzone alla Pietà:
Ei accesa di zelo |
XIII) In questo sonetto la seconda quartina non corrisponde nell’abitudine delle rime alla prima; ma non è licenza mia, sí maniera antica che piacque al Petrarca (v. il sonetto Soleano i miei pensier soavemente). Libertà in arte quanta ce n’entra: ma di quelle libertà che scusano l’ignoranza l’impotenza o la trascurragine, no.
LIBRO II.
XXVI) È una specie d’idillio lirico, nel quale per le rappresentazioni della natura volle tornarsi alle forme del politeismo classico, e ai sentimenti della natura volle mescolarsi le ire nazionali del presente d’allora. Il canto messo in bocca alle fanciulle romane festeggianti la primavera nell’isoletta del Tevere [pagg. 44— 48] è imitazione o riduzione del Pervigilium Veneris. Chi volesse saper di piú su ’l luogo l’occasione e i modi di quella festa, cerchi il proemio del Wernsdorf a quell’idillio (Poetae latini minores, ii).
XXVII) Per Cerinto e Sulpizia [pag. 55] vedi il libro iv delle elegie di Tibullo.
XXVIII) È una variazione su l’idillio viii di Mosco, su l’elegia vii di Lod. Ariosto O ne’ miei danni...., su le stanze