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XI
A GAETANO BONCOMPAGNI LUDOVISI, PRINCIPE DI PIOMBINO,
QUANDO SUO FIGLIO IGNAZIO FU FATTO CARDINALE DA PlO SESTO.
Quanto un di fra’ quiriti
perorò l’ immortai genio d’Arpino
di moribonda libertade a scampo;
quanto Atene ascoltò dal pio maestro,
5cui lo intelletto di saper divino
parve svegliar ne’ ciechi giorni un lampo;
o l’auree carte che dal flutto ingordo
salvò scrittor guerriero,
o i sacri avanzi de l’ingegno austero
10che i scellerati arcani
primo svelò degli avviliti al giogo
petti non piú romani:
tutto, padre beato,
era, e tu ne godei, meta concorde
15a l’ingegno di lui, ch’oggi a le chiome
ne la piú verde etá l’ostro circonda:
e non per ozio da l’argentee corde
suono eccitato o fere in selva dome.
Astrea l’accolse; ei le ragion del vero
20d’ingrata nebbia involto
chiaro leggea nel manifesto volto.
S’aprirò al giovin chiaro,
da maturi pensier dolce restauro,
Sofocle, Orazio e Maro.
25Immoto al sommo trono
tendea Gregorio quella man, che in terra
l’onor serbò de l’ affidate chiavi:
seco i nepoti suoi, purpurea schiera,
chiesta a pace lá su da lunga guerra,
30affrettavano gli anni al correr gravi.