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scioglie invitto le penne ad uom non date,
e con occhio mortai beve 1* immensa
luce perenne del divino aspetto,
che, in fiume rapidissimo diffusa,
65il vasto Empirò entro se stessa assorbe.
Te, dato a noi ne’ ferrei tempi Omero,
te, per via dura condottier felice,
devoti, o Dante, veneriam; né l’occhio
fastidito torciam dal tuo volume,
70qualor, tardato da rigida asprezza,
rozzo l’orecchia il verso tuo percote:
che non ognor sul cembalo risuona
fra ’1 ronzar cupo e il tintinnir sottile
la concorde armonia d’amiche note;
75ma talor dotto mastro insiem congiunge
le corde dissociabili ed ingrate,
perché sorga il cadevole concento
sul pien fragor del preparato tuono.
Né poche macchie, se di spessi fregi
80splende, al febeo lavoro onta faranno.
Quai levi paglie, in sulle somme spume
nuotan gli error: chi delle perle è vago
s’immerga al fondo. E qual di gemme ascree
raro tesor ne’ carmi tuoi non celi,
85grande Alighier? Tu di Platon l’arcane,
fuggenti il mortai senso, idee sublimi,
e i tenebrosi dogmi stagirei,
e la scienza miglior che in ciel s’avvolge
fra l’ombre della mistica cortina,
90tutte chiamasti entro i robusti versi,
e all’ammirato stil nuovo ornamento
dal peregrino ampio saper traesti.
Tu fai l’auree del dir forme vivaci
emule andar degli apellei colori;
95tu, signor degli affetti, entro dell’alma
a tuo voler pietate o sdegno imprimi.
Poeti minori del Settecento - ii. io