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della bella, in cui vivo, etá felice?
Certo, non mento. Odimi tu, che vai
nell’auree prose e ne’ robusti versi
insigne ognor di non tentata lode,

30Algarotti immortai . Giudice io chiamo

te nel cimento della dubbia lite,
te solo io chiedo*: hai nel tuo stesso esempio
del presente valor certo argomento.
Tu quel non sei che sovra un piede immoto

35al celebre scrittor versi ducente

détta in un’ora e, di fatica schivo,
la tarda lima ai Bembi e ai Casa invia;
ma i dotti carmi di que’ fior soli orni,
quai dall’ a screo giardin con parca mano

40svelgon le muse e ne fan parte e dono

a poche care al cielo alme felici.
Te non alletta il lusinghevol giogo,
che, in sua barbarie orrido ed irto un tempo,
poi lungo l’Arno nòve forme apprese

45di gentilezza e a culto orecchio piacque;

oh grave del pensier tormento e lima,
difficil rima! Ella è d’impaccio al forte,
che sdegno indugia all’onorato corso;
ma nova lena a debil vate aggiunge,

50ond’ei si regga e, in lei fidando il fianco,

con lento pie l’umile via misuri.
Lei però non condanno. Abil l’ammira
ai sospir dolci, alle amorose cure
il garzon di Ciprigna. Ancor risuona

55entro a’ numeri tuoi, gentil Petrarca,

la leggiadra vendetta, onde si crebbe
di novo pregio il cupidineo dardo.
Piace la rima ancor, s ’epica tuba
vaga di marzio ardir, vaga di guerre,

60la sposi al suono emulator degli anni.

Piace, se brilla fra i concetti arguti

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