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nel facil Mauro, o nel venusto Berni,
o nel miglior che sul Panaro aperse,
fra lo stil grave e fra i nativi sali,
65un cammin non tentato. Italia vide,
vide del nostro onor Francia gelosa
fecondi di stupor sorgere i plausi,
all’udir come Achille e Turno adegui,
per l’accesa nei petti ira tenace,
70Elena trasformata in una secchia:
questi, né pochi son, pregi alla rima
Febo concesse aver. Ma qual non apre
fertil campo di gloria ai gran poeti,
nato a prova miglior, libero carme,
75che, d’ornamento esterior non pago,
tra il fulgor dell’armoniche parole,
tra l’inesausto immaginar sublime,
in sé si folce e sol di sé s’adorna?
Qual, del meriggio nelle splendid’ore,
80dell’apollinea face esulta e ferve
entro le valli apriche il raggio acuto;
tale, all’ardor dello spirabil estro,
pieno di sua divinitá lampeggia
il franco stil: ne’ bei color s’avviva
85la varia forma delle varie cose;
e su le dotte penne il caldo ingegno
levasi a volo, e vincitor s’aggira
alto per l’etra, e di cader non pavé.
Tu con lodato ardir trattar potesti,
90o dell’Ausonia onor chiaro Algarotti,
l’opra cara alle muse, e tutta grave
nel degno degli dèi sacro linguaggio
di quell’infusa origine celeste,
onde la tosca poesia si vanta.
95Qual è beltá, che ne’ tuoi modi eletti
invan si cerchi? Novo vezzo spira
aureo ogni verso, e su la muta lingua