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XIII - IN MORTE DELLA MARCHESA MATILDE HERCOLANI 189

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Ella parla: odo il dolce
suono, che l’aure immobili
e noi di stupor molce:
Hercolan, meco ascoltala,
e le querele cessino e i sospir.

— Lunge — ella dice — il pianto
da la mia tomba e i lugubri
fregi ed il flebil canto.
Di sé i viventi gemano:
è colpa sul mio fato lacrimar.

Spense morte i miei lumi,
né piú poteo: lo spirito
agii volò tra i numi.
Dormii. Le terre sparvero,
e s’apersero i cieli al mio svegliar.

Quivi con l’ali impure
me beata non turbano
le folli umane cure:
quanto è profano e ignobile,
tutto nel mio partir lasciai quaggiú.

Solo Amor meco venne:
dietro a’ miei voli rapido,
solo spiegò le penne.
Dal cielo al varco videlo,
e ne sorrise, rigida Virtú.

Virtú, che strinse in terra
l’aureo nodo, cui l’ invida
Morte fé’ in van sua guerra:
Virtú di sua bell’opera
con Amor si compiace ancora in ciel.

Su la mia fredda salma,
sposo, perché quei gemiti?
Ella è disciolta: l’alma
teco nel casto vincolo
congiunta vive, e teco arde fedel.

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