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XVIII
A MINERVA.

Soavi studi, vane cure e lievi
fúr giá dolce pensier de’ miei prim’anni;
ma, scórsi inutilmente i giorni brevi,
scopre invan tarda etate i propri danni.

5Me, giovinetto e di lanugin molle

velato a pena per le intonse gote,
prese desio del lusinghiero colle
sacro a le muse e a le apollinee note:

e vergai molte carte e molte rime,
10e vegliai per la notte ed alsi al giorno,

e parvemi volar cigno sublime
e udirmi l’aure ammiratrici intorno.

Folle ! il suon vano si perde col vento,
e rise eternitá di mie promesse,
15mentre sui fogli de l’ascreo concento

pasce il tarlo ma1ir:no e Aracne intesse.

— Lungi — diss’ io — lungi, canore dèe:
giova cercar di sapienza il regno,
e nudrir l’alma de le sacre idee,
20cui veritade è ricompensa e segno. —

Dissi, ed ascesi di Minerva ai fonti:
sotti! geometria m’aperse il calle
e salii si che dai sereni monti
vidi il volgo umil schiera in umil valle.

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