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Che fiano i magni re Ciro e Alessandro,
che di tant’arme empir le rive perse,
e quei che il varco ove peri Leandro
60con oltraggio di ponti ricoperse?
Ignaro di misure, l’infinito
ogni disuguaglianza adegua e toglie;
e oblia sorda natura ignobil lito,
essa che i mondi crea, che i mondi scioglie.
65O sapienza, o de’ mortali amica
diva, che pochi nel tuo tempio accogli!
io veggo si quella tua stanza aprica
sublime in vetta de’ sublimi scogli.
Felice chi vi giunse! ivi non freme
70Gradivo atroce fra le spade e i dardi
sul grave cocchio, che tardato geme
fra i membri infranti e i laceri stendardi.
Non ivi di facondia contumace
al reo sillogizzar paventa il dritto:
75ivi, di liti ignaro, il fòro tace,
e vacui nomi son pena e delitto.
Non ivi, macra per diurne ambasce,
turba frequente e cupida s’aduna,
cui lunga speme e inutil aura pasce,
80supplice e curva ad adorar fortuna.
Né superstizion crudele e sorda
invola ai padri i figli amati e cari,
ai mariti le spose, e i dritti scorda,
o svena ostie innocenti agli empi altari;
85ned ivi l’are di sanguigno scempio
tingonsi a l’ulular del popol denso:
del pacifico nume ogni alma è tempio;
virtú, sola ministra, offre l’incenso.