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Fia poi sua cura, allor che ride il cielo,
65Tara di Pale ornar dei fior piú belli,

e a Bromio un capro offrir di vario pelo.

Còlti dalla sua man, frutti novelli
adorneran le mense, e i vin migliori
da lei serbati, ed i piú pingui agnelli.
70A ingannar poscia de’ notturni orrori

l’ore solinghe, io sul canoro legno
le storie canterò di prischi amori.

Dirò che ninfa di protervo ingegno
piacque ad Apollo, e che per lei d’Admeto
75gli armenti pascolar non ebbe a sdegno.

Egli in riva al Penèo pianto secreto
spargea, schivo d’ambrosia e fumi eoi,
come volle d’Amor l’aspro decreto.
Oh, quante volte osáro i carmi suoi,
80onde chiedea la sua perduta pace,

con muggito importun rompere i buoi!

Né mai, sorda al dolor che si lo sface,
volgere a lui degnò gli occhi sereni
la ninfa crudelissima fugace. —
85Questi di casto amor voti ripieni,

lasso! io formava, che Volturno e Coro
sparsero poi fra gli odorati armeni.

Tirsi felice! Alla tua fé ristoro
concessero gli dèi; dono negato
90spesso al cultor dell’infecondo alloro.

Godi, che il merti, alla tua Silvia a lato,
pago di sua beltá: de’ suoi costumi
nulla ti resti a desiar dal fato.

Crescano i vostri di, cura dei numi,
finché, fra i baci estremi e fra i singulti,
quasi al sonno composti, i vostri lumi
la man poi chiuda dei nipoti adulti.

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