< Pagina:Poeti minori del Settecento II.djvu
Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta.

25Contro il pubblico errore e l’arti oppresse

argine è il saggio. E chi non sa tua cura,
onde a’ melici studi alfin splendesse
miglior ventura?

Ma invan; che, ai canti effeminati avvezza
30di molli Femii e d’evirato lopa,

dorici modi o non conosce o sprezza
schiva l’Europa.

E pur t’ammira e, docile a la fama,
che tante lodi del tuo nome ha sparte,
35«italo Olimpo» e «novo» ella ti chiama

«Roscio de l’arte».

Cesse l’invidia a te dove la Dora
precipita da l’Alpi e al Po declina,
e l’eco di Posilipo t’onora
40e Mergellina.

Te il Daco e te lo Scandinavo udirò,
a incognita pietá scotendo i cori,
e i duri figli d’Albion t’offrirò

plausi e tesori.

45Chi non freme con te, quando in sembiante

di Pirro insulti a Polissena infida,
e assordi co’ tuoi lai, tradito amante
i campi d’Ida?

Tal forse ei fu, quando d’acciar splendea
50come ringiovanita al sol cerasta,

e le torri di Bardano scotea

truce con l’asta;

o quando d’Asia il regnator vetusto
trasse pe’ sanguinosi atrii agli altari,
55e a pie lascioUo, inonorato busto,

de’ frigi lari.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.