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Or ad árbor lasciva il crin diffuso
toglie, or gode in mirar quando a le stalle,
teso, riedono, il ventre ed alto il muso,
i pigri buoi da la pasciuta valle.

25Casta amica, la moglie al dolce incarco

de’ figli attende e a le domestic’opre,
e in suppellettil faentina il parco
desco di malve e puro agnel ricopre.

L’irrequieta famigliola intanto
30vezzi alterna e susurri, e fra vicende

di facil’ire, di letizia o pianto,
baci dal padre invidiati prende.

Ozio, il sai, con Lucullo il magno, un giorno,
da le laute Carine al ciel chiedea,
35ozio in campano o tiburtin soggiorno

l’Alceo del Tebro e il pio cantor d’Enea.

Te lungo il violento Adige invita
sacro il tetto degli avi ad Epicuro:
godi al presente ben, che nostra vita
40è il punto in cui viviam, non il futuro.

Se nulla eterno sia quaggiú, se il fato
mai da fortezza o da pietá sia vinto,
misero esempio, il ti dirá l’amato
giovin d’Ateste, or volge l’anno, estinto.

45Chi non volubil, piú di lui, fortuna

finger doveasi, se al suo riso ei nacque,
e se, chiamato a la real sua cuna,
cingerla de’ suoi don Pluto si piacque?

Schifo di fasto al patrio trono appresso
50e di blandizie a basso cor soavi,

fanciullo ancora, osò formar se stesso
a’ prischi esempi ed al rigor degli avi.

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