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Morto foss’io, ma placido, siccome
mori l’avventurato genitore.
Maria tre volte egli chiamò per nome,
che glielo pose in su le labbra amore.

Udillo il gran nemico, e per furore
si lacerò le viperine chiome;
udillo, e, tratto un gemito dal core,
l’armi addentò disonorate e dome.

Fermo il guardava intanto e lo scherma
Io spirto vincitor, con un sorriso
che tigri e serpi innamorato avria.

Quando, su l’ali d’un’auretta assiso,
impaziente di veder Maria,
rapidissimo corse in paradiso.

In cielo corse, e giá beato adora
Lei, che Donna e Regina ivi risiede:
quegli occhi soavissimi giá vede,
ond’essa il cielo allegra ed innamora.

Or sovra il lembo della gonna, ed ora
baci le stampa su l’augusto piede:
da quel materno cor indi mercede
con preziose lacrime m’implora.

Essa lo copre del ceruleo manto,
e con la man piú candida che giglio
l’alza dal suolo, e gli rasciuga il pianto.

Ma di me come a lui risponde intanto?
— Ah! parla, o Madre, e digli sol che il figlio
stará mai sempre al genitore accanto.

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