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coirardente liquor l’omero impiaga.
Fuggiva il sonno; a lei vergogna e duolo
l’alma pungean. Tu rapido movevi
per l’aure lievi a volo.

Te ritenne Citerá. Ivi t’accolse
la rosata di Psiche emula antica;
e medicava la pietosa mano
l’offese della tua dolce nimica,
mentre la sconsolata
te richiamava lagrimando invano.
Parlò a lungo il dolore,
poscia il furor non tacque,
e invocò morte e si lanciò nel fiume:
cara un tempo ad Amore,
la rispettaron l’acque.

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Lei, che raminga in traccia
del perduto signor scorrea la terra,
incoraggi soave

la dea che al crin le bionde spiche allaccia:
a lei stendea le braccia
racconsolando, e la compianse Giuno.
Sola Venere altera
non calmò l’ire gravi, e su l’afflitta
compier giurò la sua vendetta intera,
chi dir potria l’oscura
carcere e i duri uffici?
Chi l’auree lane e la diffidi onda?
Amor, dov’eri? A te, che tutto sai,
come furono ignoti
della tua Psiche i guai?

Ella, come imponea la sua tiranna,
osò d’entrar per la Tenaria porta,
e por vivendo il piede

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