< Pagina:Poggio Bracciolini - Facezie, Carabba, 1912.djvu
Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta.
158 facezie

[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Poggio Bracciolini - Facezie, Carabba, 1912.djvu{{padleft:170|3|0]]già lontani, quando il vecchio richiamò il servo: “Ohè tu, gli disse, di’ a mio figlio, che si ricordi di detrarre dalla croce il peso del legno.” E quest’uomo, che pareva pentito, non volle che suo figlio stimasse per argento il legno della croce, credendolo di minor prezzo. Ognuno torna facilmente alla sua abitudine.


CCLII

Favola degli uccelletti che non parlavano rettamente.

Un tale prendeva degli uccelletti che erano chiusi in una gabbia e li uccideva stringendo loro la testa. E mentre ciò faceva, prese, per caso, a gemere lacrime dagli occhi. Allora uno degli uccelli carcerati disse agli altri: “State di buon animo, perchè ora lo vedo lacrimante, ed avrà compassione di noi.” E il più vecchio rispose: “Figlio mio, non guardargli agli occhi, ma alle mani.” E mostrò come non si debba por mente alle parole, ma bensì alle opere.


CCLIII

Un tale si cinse il collo con varie catene

e fu riputato più stolto.

Un tale di Milano, soldato millantatore, di stirpe di cavalieri, venne a Firenze ambasciatore, e tutti i giorni per ostentazione portava al collo catenelle di vario genere. Vide la sciocca vanità di costui Niccolò Niccoli, che fu uomo dottissimo e arguto: “Quegli altri matti, disse, soffrono di essere legati ad una catena sola; costui invece è tanto matto, che di una catena non si contenta.”

    Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.