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XIII
Motto di un cuoco
all’illustrissimo Duca di Milano.
Il vecchio Duca di Milano, principe di singolare eleganza in tutte le cose, aveva un cuoco sapiente che egli aveva perfino mandato in Francia a ciò che apprendesse ad apprestare intingoli. Durante la grande guerra che egli sostenne contro i Fiorentini, venne un giorno al Duca messaggio di cattive nuove e fu per questo grandemente turbato; e dopo qualche momento, a tavola, essendogli presentate pietanze, delle quali non so perchè disapprovasse il sapore, come se non fossero ben condite, le cacciò da sè, e fatto venire il cuoco, lo rimproverò aspramente come inetto nell’arte sua; e costui, che parlava liberamente: “Se i Fiorentini, disse, vi han tolto il gusto e l’appetito, che colpa ci ho io? sono i miei piatti saporiti e con grandissima arte composti, ma sono i Fiorentini, monsignore, che vi riscaldano e vi tolgon la fame.” E il Duca, che era oltre ogni dire umano, rise della libera e allegra risposta del cuoco.
XIV
Detto dello stesso cuoco al medesimo illustre principe.
Lo stesso cuoco, durando la guerra di cui sopra s’è detto, scherzò anche un’altra volta alla tavola del Duca, un giorno ch’e’ lo vide angustiato ed assorto ne’ pensieri: “Non mi meraviglio, disse, di vederlo tanto afflitto; imperocchè egli vada verso due cose impossibili; vorrebbe egli non aver frontiere, poi vorrebbe ingrassare Francesco Barbavara, uomo di tanta ricchezza e ardente di tanta avidità.” Così il cuoco scherzava e sulla smoderata voglia di dominio del Duca e sulla cupidigia d’onori e di ricchezze di Francesco Barbavara.