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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Poggio Bracciolini - Facezie, Carabba, 1912.djvu{{padleft:76|3|0]]molte cose degne di riso, ed uno fra le altre narrò ridendo questa: — Cecchino, medico d’Arezzo, fu una volta chiamato a curare una bella giovinetta che danzando s’era torto un ginocchio; e per accomodarlo, poichè gli fu d’uopo di toccare assai la coscia e la gamba della giovinetta, ch’erano morbide e bianchissime, gli avvenne di sentirselo eretto in modo da non poterlo più contenere nella veste. Poi quando si alzò sospirando, ed ella l’ebbe richiesto quanto voleva per la cura fattale, egli rispose che nulla ella dovevagli; e chiestagliene la ragione: “Perchè, disse il medico, siamo nell’opera pari: io ti dirizzai un membro, e tu a me, nello stesso modo, un altro.” —
LXXXIX
Scherzo di un Veneziano
che non conobbe il suo cavallo.
Fra molti dotti uomini si parlava una volta della imbecillità e della stoltezza di molti. Antonio Lusco, uomo di grande amenità, raccontò che andando una volta da Roma a Vicenza, ebbe in sua compagnia un Veneziano che, da quel che pareva, non aveva molte volte cavalcato. Egli discese a Siena ad un albergo in cui erano moltissimi altri coi loro cavalli, e alla mattina dopo quando tutti stavano per riprendere il viaggio, il solo Veneziano rimaneva sulla porta seduto, oziando distratto; e Lusco, meravigliandosi della negligenza e della pigrizia di costui che quando tutti gli altri erano in sella, stavasi là solo seduto, lo avvertì che, se volea partir seco, montasse tosto a cavallo, e gli dicesse perchè stava indugiando. Ed egli: “Io certamente desidero di venire con voi; ma non conosco affatto il mio cavallo fra gli altri; per questo io aspetto che tutti gli altri montino in sella, perchè trovando poi nella stalla un cavallo solo, saprò ch’esso è mio.” E