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104 le selve

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Né d’un mortale ed umile consorte
Or qui vengo a dolermi: delle Parche
M’abbia il voler convenïenti nozze
Conteso, invidïando; al sommo Giove160
Lecito sia l’aver dischiuso il cuore
Alla paura. Sebben oh!.... Ma taccio....
Perché, però, perché sommo de’ Numi,
Del proprio sangue gli Apollinei strali
Dovea lordare il mio diletto Achille,165
Di te minore? Forseché pur io9
Alla tua prole o alla sembianza tua,
O Titanide, osai di fare oltraggio?
Oh! me, me pure tramutate in selce
Tosto, scongiuro, e in lacrime perenni170
Solo non resti, inconsolabilmente,
Il sasso in che fu Niobe conversa.
Almeno questo alle reliquie ingrate,
E al muto avel la genitrice paghi
D’onor tributo, s’altro di me avvenga;175




Nec nunc mortales thalamos humilemque maritum100
Conquerimur: fuerint Parcarum vellera justis
Invida connubiis; liceat timuisse Tonanti.
Quamquam o!... sed taceo. Cur autem, summe deorum,
Cur meus Aeacides latoia tela cruentat,
Te minor? Anne etiam sobolem damnavimus ipsae105
Aut faciem, Titani, tuam? sed vertite, quaeso,
Me quoque jamdudum in silicem, nec marmora solum
Tristibus aeternum lachrymis sipyleia manent.
Hos certe ingrato cineri mutisque sepulchris,
Quando aliud quid sit, genitrix persolvat honores;110

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