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Anna.
Non monta, ditele che sua madre glielo comanda e che preme (la cameriera esce). Nella nostra società, cognata, la carità è il superfluo, il lusso è il necessario.
Maria.
Dite una frase crudele.
Anna.
Eh! che volete, cognata. Siamo tutti poverelli ad un modo e questa grande società ha anch’essa le sue indigenze. Se io non mi ponessi stasera un nuovo adornamento sul capo sarei più miserabile del vostro mendicante. Non la conoscete voi la nostra società?
Maria.
L’ho conosciuta molto quand’ero giovane la vostra società, e mi ricordo che fino all’età dei ventitrè anni le ho dette anch’io queste follie, perchè allora correvo ridente per le sale da ballo, e, mi ricordo, anche questo, ci siam molte volte sfilate accanto nella furia dei valtz, e ballavamo bene assai tutt’e due. Ma dacchè mi son maritata non ho più ballato, e dacchè son rimasta vedova non sono entrata più nelle sale del mondo.
Anna.
Io invece ballo ancora.
Maria.
È naturale. Siete bella, non avete mai pianto e però vi siete conservata giovane; io invece.... i dolori m’hanno invecchiata. Pure una madre, sia pur bella, giovine, felice, deve ballar poco.