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Anna.

Avete delle idee di riforma, cara cognata; ma la vostra riforma capaciterà poco e pochi; non sapete che oggi ballano più le madri che le ragazze? Quella signora che vi ho presentato, ha una figliuola, è divisa dal marito, e pur balla, e balla assai, ve lo assicuro. E poi è usanza, è moda; tutte fanno così.

Maria.

E i figli intanto?

Anna.

I figli? sono a balia, o al collegio, o in convento.

Maria.

Tolga Iddio che ciò sia, signora. Pensate un po’ che mai avverrebbe d’una generazione che non avesse conosciuto le cure materne! Credete voi che i doveri d’una madre si restringano nel dare alla figliuola una sana nutrice, poi una saggia istitutrice, e nel porla più tardi in convento od in collegio, e nell’apparecchiarle finalmente un bel corredo da sposa? V’ha tutta una educazione che le fanciulle non ponno imparare che nell’amoroso consorzio della madre.

Anna.

È forse un rimprovero codesto?

Maria.

No; ma se io avessi una figlia come Camilla porrei in essa tutto il mio amore, tutto il mio orgoglio, studierei giorno e notte quel suo bel coricino, quella sua anima candida, e se una volta mi fosse dato scuoprirvi una buona simpatia, me la mariterei e sarei felice tanto, e ne’ suoi figliuoli ringiovanirebbe la mia vecchiezza.

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