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— A te che sei più franca...
E mi comparvero davanti due cose femminili.
Vi dipingo a larghe pennellate la moglie del farmacista.
Era lunga, lunga, lunga; aveva gli occhi nella nuca e le ciocche dei capelli a un centimetro più innanzi della punta del naso! E che punta e che naso! Lunga, lunga e scialba del colore dei ceri da funerale; le mancavano due lettere dell’alfabeto, l’erre e l’esse; sputava formidabilmente ad ogni monosillabo.
Era guercia.
Quanto ad Ermenegilda (che nome!) la figliuola di Bazzetta era un coso femminile di rarissima specie.
Alquanto meno lunga della madre, sembrava più piccola che non fosse perchè era grassa e paffuta come un dindo nutrito da una brava massaia per onorare il Natale. Aveva la pelle tesa, come quella di un tamburo, sicchè, malgrado tanta lussuria di muscoli e di polpe, pareva fosse stata fatta con economia. I suoi grandi occhioni bovini avean l’aria di voler saltar fuori a ballonzolare sul pavimento; e certo, senza quella tensione di epidermide che appariva ancor più evidentemente nelle palpebre, ti sarebbero schizzati in faccia.
I due così mi vennero incontro, la mamma lunga davanti, la ragazza grossa di dietro, inchinandosi goffamente e atteggiando la bocca a un sorriso tra la compiacenza e la fatuità.
— Se non erro, diss’io, prendendo il cappello onde potermela svignare, al più presto, ho l’onore di conoscere la signora del mio amico Bazzetta...
— Pur troppo! sospirò quella pertica alzando gli Occhi al cielo. Dietro di lei si udì un sospirone.