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— E vi ha contata la storia del medico e del signor sindaco a modo suo... — è un birbone! — Beve come una spugna! Oh! che uomo!

— .... Omo!

— E — continuava la signora, — il piccolo Ignazio, l’abatino che pranzò ieri con voi, è figlio spurio del sindaco— e questo non ve lo ha detto, e sua madre era la sorella di Mansueta... e il signor de Emma...

— Zitta! sclamò Ermenegilda, additando l’impennata della farmacia.

Bazzetta riapparve.

— Ho dimenticato l’astuccio dei zolfanelli.

E fulminò con uno sguardo tale la signora Placida e la signorina Ermenegilda... che in men di un baleno scivolarono e scomparvero dietro l’uscio da cui erano uscite.

— Vi accompagno fino al presbiterio, disse Bazzetta offrendomi il braccio.

E ci incamminammo.


XIV.


Che bella sera, che tramonto fatto per i pittori e per i poeti!

Il paesaggio appariva e non appariva.

Le forme incerte somigliavano a nubi; nubi che cambiavano i profili e i colori ad ogni batter di ciglio.

Il presbiterio era immerso in una nebbia diafana, inargentata dalla luna.

Cantavano le cicale e cantavano i grilli. I prati erano costellati di lucciole, e Bazzetta zuffolava una canzone che era in gran voga a quei tempi.

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