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— Sono i coloni del signor De Boni che portano a casa Bazzetta, ubbriaco fradicio.

E con questo bel corollario di quella bella giornata, mi diede la buona notte.


XVII.


Dopo agitatissimi sogni, fui risvegliato dal signor De Emma, o,— per essere più veritiero, — dai ferri aguzzi del suo ronzino, i quali, così, tra la veglia e il sonno, mi somigliarono ai colpi di un martello che mi battesse sulla nuca.

I galli, sparsi qua e là nelle soffitte e nelle cantine, eruttavano il loro rantolo singhiozzoso; i passeri cominciavano a pispigliare; si udiva il risveglio della luce nel fruscio sommesso delle foglie. In lontananza, le imposte, aperte da braccia ancora intorpidite dal sonno, sbattevano contro le pareti, quasi paurosamente.

Il giardino apriva anch’esso le sue mille palpebre d’ogni colore. I fiorelli che si schiudono all’apparire del sole, cominciavano a sorridere, e i loro petali si intravedevano fra le corolle, come ansiosi di osservare all’intorno che cosa fosse accaduto durante la loro prigionia.

Tutti i sudditi dell’entomologia, dal paria al sultano alzavano la testa e si sentivano a rivivere, e le farfalle spalancavano l’ali per abbandonarsi alla caccia avventurosa degli effluvii e dei raggi. Le lumache appese alle scabrosità dei muri, esponevano i loro quattro tentoni filiformi, occheggiando. Le lucertole, svegliate dai primi tepori del sole, facean ballonzolare la coda fra l’una e l’altra fessura. I mosconi

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