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— Il sor curato è salito alla Carbonaia, ciò vuol dire che tornerà di buon umore. — Non c’è stato da quasi un mese; quella passeggiata gli fa sempre un gran bene.

Il sagrestano si fregava le mani soddisfatto e intieramente sicuro dell’efficacia del rimedio.

Compresi dalle sue parole che si trattava del terreno prediletto, causa delle contestazioni del sindaco.

Mi prese ansietà di vedere questo miracoloso rifugio. Mi feci indicare la strada e, sotto pretesto di andare incontro al curato, affrettai il passo per prevenire il suo ritorno.

Il sole era alto ancora e il luogo non era distante che un miglio scarso.

Dopo una mezz’oretta di un sentiero scheggioso e incassato in una gola stretta e boscosa, sbucai sopra un piccolo altipiano, quasi tondo, posto sul culmine di un poggetto, una specie di sperone del monte Grigio, il quale s’innalza brullo nel fondo. Si domina di là il villaggio, e la valle fino a Zugliano.

Era quella la mia meta: la riconobbi subito dalla quercia fronzuta che spiegava maestosa nel mezzo i suoi rami sopra gli avanzi di una casupola bassa abbandonata come se ne vedono tante in montagna, specie di covo umano da cui il bisogno o la morte ha snidato la vita.

Malgrado il suo nome prosaico di Carbonaia il luogo è delizioso: vi cresceva un’erbetta minuta e d’un bel color chiaro chiazzato a lunghe zone di menta fiorita. È remoto ed aperto nel tempo stesso. Lo Strona lo difende da una parte, e un inaccessibile burrone dall’altra: una macchia fitta di castagni cresciuti rigogliosi dalle ceneri degli antichi forni

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