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— Spero, conchiuse, che non si disapproverà la mia condotta.
Don Sebastiano ascoltò con la massima indifferenza il racconto; e si guardò bene dal manifestare il proprio avviso: solo notò, così indirettamente, che il giovinetto, destinandosi alla carriera ecclesiastica, doveva dar prova prima di tutto della sua docilità verso coloro che si prendevano cura di lui.
Poi ripiegò il muso sul suo breviario e ve lo tenne immobile finchè Mansueta recò la terrina della minestra. Allora lo chiuse subito sostituendo il riso alla preghiera con una calma ammirabile.
L’avrei stritolato. La sua imperturbabilità mise freno alla nostra commozione.
Secondo il solito egli uscì subito dopo cena: e ci sollevò della sua presenza. Allora don Luigi prese la mano di Aminta, e mentre io raccontavo, per la prima volta, il colloquio che avevo avuto parecchie settimane prima coll’abatino, egli lo guardava affettuosamente senza parlare. Mansueta, ritta in piedi, completava intenerita il quadro commovente.
Ma le peripezie di quella giornata non erano finite.
Un «si può?» stridulo si fe’ sentire.
E subito dopo la ciera aguzza dello speziale Bazzetta comparve nel vano dell’uscio.
L’indiscreto ciarlone, senza aspettar risposta, sì fe’ innanzi con quelle sue maniere dolcereccie e sornione; diè un’occhiata curiosa ad Aminta, un’altra a don Luigi e allargò le ampie narici come per annusare ciò che accadeva nella casa.
Passandomi davanti mi porse la sua manuzza viscida e fredda e mi disse ammiccando furbescamente:
— Beato chi vi può vedere voi!