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L’inserviente, come fido scudiere, pendeva dai cenni del suo padrone.

Il signor De Boni battendo il piede con impazienza, gli disse imperioso:

— Orsù va a sollecitare que’ poltroni.

E il cursore a galoppare in cerca dei ritardatori.

Il sindaco aspettava sempre.

Contemplavo da più d’un quarto d’ora quello spettacolo, novo per me, di rustico assolutismo e ne traevo delle considerazioni poco benigne per l’indipendenza e la dignità della razza umana. quando una mano sottile s’insinuò sotto il mio braccio.

Era lo speziale che mi sussurrò nell’orecchio:

— Venite con me vi apposterò in un luogo donde potrete intendere la discussione.

Mentre mi disponevo a seguirlo, lo scalpitio acuto di una cavalcatura si fe’ sentire sui ciottoli della strada.

Comparve un coso allampanato, le cui gambe lunghissime penzolavano ai fianchi del magro ronzino quasi fino a terra.

Era vestito con una certa pretesa cittadina mediocremente giustificata, ed aveva le tasche infarcite di cartaccie.

— È il segretario, mi disse il Bazzetta, un notaio di Zugliano; egli serve simultaneamente cinque comuni: un morto di fame che ci mangia duecento lire all’anno per metterci sossopra gli archivi municipali. Venite.

Mi trasse per un sudicio chiassolo in un sito dietro la casa del comune e quivi mi lasciò.

Erano poche tese di terra sul ciglio dell’altura. La valle si sprofondava quasi a perpendicolo sotto i miei piedi.

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