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— Avete ragione, mormorò il curato chinando la testa.
Non si toccò più il tasto delicato. Non riuscii a decifrare il senso di quelle parole; solo mi parve d’intendere che «quella donna benedetta» fosse la signora De Emma.
Ma qual era la causa delle sue diffidenze rispetto ad Aminta?
Qui stava il nodo della quistione.
Alcuni giorni dopo credetti, per una fortuita circostanza, di essere sulla via di risolverla.
La bella stagione è breve a Sulzena: sono poco più di tre mesi, dal primo fieno, in giugno, alla bacchiatura delle noci in settembre.
Questo è l’ultimo raccolto e precede solo di poco il ritorno delle mandre dall’alpe.
Alcuni giorni dopo scende da tutti i sentieri della montagna un malinconico concerto di squilli: si direbbe che si suoni a stormo contro il gran nemico, l’inverno.
Poi succede un vasto silenzio; il gorgoglìo del torrente si fa più cupo, più roco: le vette vicine si mettono il cappuccio grigio: — e vien giù un’acqueruggiola diacciata che spicca dagli alberi l’ultime foglie, gli ultimi boccioli dischiusi alla fallace lusinga di un estremo sorriso di sole estivo.
Qualche turchiniccia falda di fumo che si solleva quetamente è il solo segnale di vita che resti in quel morto paesaggio.
Il mio ospite non aveva voluto consentire ch’io partissi e, veramente, era riuscito a trattenermi senza troppa fatica. Desideravo tanto di conoscere la vita montagnola nell’inverno: non potevo augu-