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«Si fermò cogli altri e al fine della sonata si fece innanzi e regalò a mia sorella un pugno di monete d’argento.
«Da quel giorno in poi il marchese tutte le volte che capitava in paese non mancava mai di venirci a trovare, faceva ballare la Rosilde, la guardava a bocca aperta e le dava sempre qualche cosa.
«Era un brav’uomo, ma avrebbe potuto farci carità migliore.
«Malgrado la sua età avanzata era anche lui, come il babbo, caldo per la danza e anzi dirigeva e sopraintendeva la scuola di ballo di Milano.
«Cominciò col proporre a papà di collocarvi la Rosilde; poi insisteva sempre su questo progetto e diceva che ella avrebbe fatto fortuna e ci avrebbe potuti aiutare tutti.
«Ma il papà tenne duro e non volle mai acconsentire. Egli era lusingato dall’offerta, ma l’idea di separarsi dalla Rosilde, che era tutto il suo solazzo, gli ripugnava. Conosceva abbastanza il mondo per temere i pericoli. Rispondeva: — non bisogna mutare un piacere in professione.
«Dio lo benedica per le sue buone intenzioni e magari ce lo avesse lasciato più a lungo!
«Ma dovevano capitare tutte a noi.
«Ogni anno crescevano le nostre avversità.
«Le malattie della mamma si facevano sempre più gravi, e finalmente la resero paralitica di tutte e due le gambe.
«Ella era in questo stato da parecchi anni, quando il Signore volle inviarci la prova più terribile.
«Una notte di inverno,— una notte che pareva la fine del mondo, — il vento faceva traballare la nostra casuccia dalle fondamenta. Il papà, come spesso