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«L’estate seguente venne il marchese a Castelletto, chiese di noi e passò a trovarci.

«Egli parlò di nuovo della scuola di ballo per la Rosilde: disse che non bisognava farle perdere uno splendido avvenire; che ella poteva diventare la nostra Provvidenza, che intanto egli avrebbe pensato a lei ed anche alla mamma. Insomma tanto fece, tanto promise che noi non si sapeva cosa rispondere.

«Tuttavia la mamma esitava a dir di sì.

«Rosilde allora saltò su a dire che voleva andare, e ci fe’ stupire colla fermezza della sua risoluzione. Aveva poco più di dieci anni.

« — Brava, esclamò il marchese tu hai più senno di tutti. Se tua mamma si ostina a dir di no, peggio per lei.

«Egli ci fece poi ripetere le sue offerte e le sue esortazioni dal sindaco e da altri signori del luogo tantochè la mamma si decise alla fine un po’ per le ragioni che coloro le dicevano, e un po’ per quelle che la miseria le suggeriva, di arrendersi.

«Rosilde andò quello stesso anno a Milano. Il buon marchese fu di parola, si adoperò per lei e cominciò a mandare una piccola pensione mensile.

«Passarono così cinque anni.

«Rosilde veniva l’estate a passare con noi qualche settimana.

«Ella si faceva grande e bella, — ma scommetterei che non era contenta. Appena arrivava a casa, smetteva i suoi abiti signorili per vestire più dimessamente alla nostra foggia: parlava poco e sempre malvolentieri della sua vita di Milano e si sarebbe detto che volesse dimenticarla e farla dimenticare. Poi ci pativa tanto a lasciarci. Non si lagnava, si-

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