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E uscito fuori, mi prese il braccio e mi tirò nella bottega, anzi nel piccolo camerino dov’ero stato la prima volta. Mi fe’ sedere e volle assolutamente che io assaggiassi ancora di quel tal suo vinettino.

Uscì e tornò colle bottiglie e si diede a giocar di cavaturaccioli, prima che io avessi avuto tempo di aprir bocca sempre ripetendo ufficiosamente fra i denti:

— Cospetto, cospetto, due ditini, due ditini.

Versò, poi disse:

— Già voi non sapete cosa fare del mio vino e delle mie storie.

Non risposi, egli continuò:

— Eppure avrei creduto, doveste essere curioso di conoscere la storia di certi nostri amici. Suppongo ch’essi non v’avranno detto nulla. La storia dell’abatino è interessante.....

— So, so... interruppi infastidito.

— Che sapete? mi chiese con un sorriso d’incredulità, — Eh! sclamai, che grande secreto!

— Dite quel che sapete; ho paura che occorrano delle rettifiche.

— Diamine chi non sa che il signor De Boni è...

— È che cosa?

— Il padre...

— ..... putativo, aggiunse subito lo speziale col tono più dolce della sua vocina insinuante.

Fè una smorfia, ammiccò cogli occhi e ripetè sempre più piano;

— Putativo... pu... ta... ti... vo. Eh!!

L’ultima esclamazione voleva dire: — vedete che questo speziale può ancora insegnarvi qualcosa, signor presuntuoso?

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