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XXV.


Erano le riflessioni ch’io facevo fra me tornando dalla Testa Grigia dove avevo voluto arrampicarmi un’ultima volta. E la conclusione fu ch’io avrei quella stessa sera chiesto congedo per l’indomani.

La serietà di questo proponimento mi fe’ naturalmente rallentare il passo. Una singolare tenerezza mi legava a quei luoghi. Le poche settimane colà passate rappresentavano per me un lungo e notevole periodo della mia vita.

Un villaggio è spesso un piccolo mondo che spicca sopra un orizzonte immenso: quivi gli umili casi quotidiani hanno sempre per scena l’ampia campagna, il cielo infinito.

Il terreno era umido per un primo nevischio caduto il giorno prima: avanguardia delle grosse nevi che per allora stavano attendate sulle cime del Sempione. Aveva fatto una splendida giornata, di quelle limpide che reca il vento dalla montagna. L’aria, fredduccia, ma in compenso tersa, trasparente, quasi sopprimeva le distanze.

Ero ancora lontano un quattro miglia da Sulzena e avrei detto di arrivarci in un salto.

Giravo la gola di Fontanile e vedevo il villaggio rimpetto, un po’ sotto a me, indorato dai raggi del sole che cadeva. Distinguevo i più minuti particolari, le siepi, le finestre, coi pannilini stesi, le pietre, le spire del fumo che usciva dai bassi comignoli.

È delizioso spettacolo questo di poter in una occhiata riassumere la vita di un intero paese; da un sentimento di potenza, quasi di superiorità; pare di

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