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E Aminta?

L’estate scorsa ero in ferrovia: tra Milano e Pavia e non so bene a quale stazione salirono due giovani sposi. Appena il convoglio si mosse — m’ero sdraiato lungo sui cuscini, facevo le viste di dormire — lo sposo senza tanti scrupoli allacciò la vita della signora e cominciò a sussurarle certe parole... che parevano baci. — E lei ci stava.....

Non c’è per me spettacolo più avvilente di questo.

Alla prima fermata, m’alzai risoluto e feci per discendere.

— Buon viaggio e buon divertimento, signori, dissi nel passar dinanzi alle due tortorelle.

La signora arrossì, ma lo sposo fe’ un oh lungo un miglio e s’alzò tanto rapidamente che i nostri visi si toccarono.

— Tant’è, disse, e mi baciò. Ero stupito.

— Non mi conosce? io lei l’ho sentito alla voce... Aminta.

— Oh Aminta!

— È questa la mia sposa.

— Ho visto — dissi.

E ridemmo tutti e tre.....

Aminta mi disse che andava a Roma dove aveva un impiego al ministero della publica istruzione. Era sposo, era felice, era allegro.

Eppure quella sua gioia tanto naturale mi faceva pena perchè mi pareva una irriverenza verso le tristi memorie che il suo incontro mi suscitava nell’animo.


Fine.


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