Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 69 — |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Praga - Memorie del presbiterio.djvu{{padleft:79|3|0]]
Ma la piccola porta dai vetri pieni di gemme di pioggia, che vi serpeggiavano or rapide or lente in tutte le direzioni, cigolò sui cardini, e l’apparire di un personaggio dall’incesso lento e maestoso fece restar lì di botto tutte quelle labbra cicaleggianti, ronzanti e roboanti. Il piccolo cancelliere si alzò, fece un arco della schiena, afferrò una sedia, l’alzò di peso, l’offerse; il fabbriciere spalancò una enorme scatola, schiuse un sorriso cretino, si ripulì le labbra colla lingua e mormorò un «posso?» dolce come una ciliegia bucherata dai passeri; il bell’Ernesto se ne ritornò al bigliardo, con aria dispettosa. Provatevi a interrompere un agricoltore che parla di un prato di marcita, o un veterano che descrive un campo di battaglia!
Il nuovo arrivato, nientemeno che la prima autorità della provincia, il rappresentante del governo, il signor «Intendente» come dicevasi a que’ tempi in Piemonte, chiuse con calma e dignità l’ampio ombrello scarlatto dal manico d’ottone, e passando coll’indifferenza di un nume fra gli astanti, andò a consegnarlo alla padrona perchè lo facesse asciugare; poi, sempre con quel tal passo, tornò indietro, sedette, non prima di aver ben divise l’una dall’altra le falde del lungo soprabito, cavò il fazzoletto, si soffiò il naso, vi raddrizzò sopra gli occhiali, e, finalmente, con una voce da basso sfiatato:
— Servo di loro signori, disse, guardandosi intorno senza girar il capo, tempaccio da lupi, eh! tempaccio da lupi.
E il maestro di scuola, il quale doveva essere un uomo maligno, e che, solo fra tutti, non aveva mutato contegno all’arrivo del signor Intendente, pen-